Gli effetti sociali ed economici della pandemia stanno facendo pagare un prezzo molto alto alle donne. I dati Istat sull’occupazione ci dicono che cala ancora il tasso di occupazione femminile.
È un’emergenza che ha bisogno di impegni straordinari ed è importante che il lavoro delle donne venga messo al centro della ripresa, promuovendo politiche che intervengano su più piani ma soprattutto sulla condivisione del lavoro di cura e sugli investimenti nei servizi.
Il grande obiettivo riguarda la qualità dello sviluppo del Paese e per raggiungerlo ci vuole un vero e proprio piano per l’occupazione femminile fatto di investimenti e di condivisione con gli attori sociali.
Se il virus COVID 19 ha colpito tutta la società ci sono state categorie più colpite delle altre; le donne in particolare si sono ritrovate esposte su molteplici fronti: quello economico, familiare e sanitario.
Sono state soprattutto loro a pagare il prezzo più alto e soprattutto le donne che già in precedenza erano in posizione di maggiore fragilità.
Le donne che hanno perso il lavoro nel 2020 sono il doppio rispetto ai colleghi uomini. Questo perché occupano più spesso posizioni lavorative meno tutelate e sono impiegate nei settori che sono stati più colpiti dalla crisi. Nei primi due mesi del 2020, prima delle chiusure, la crescita tendenziale delle posizioni occupate è simile per maschi e femmine, mentre da marzo in poi la forbice si è aperta e lo svantaggio delle donne si rivela decisamente marcato.
La pandemia sta agendo in un contesto dove le disparità di genere nel mondo del lavoro erano una criticità già prima dell’emergenza sanitaria; il gender pay gap mondiale, cioè la differenza tra il salario annuale medio percepito dalle donne e quello percepito dagli uomini, è intorno al 20%.
In Italia il dato è mediamente più basso, ma questo non significa che le cose vadano bene; nel settore privato, per esempio, si supera anche quel valore, motivo per cui l’Italia continua a perdere posizioni nelle classifiche dei paesi che attuano la parità salariale; il 2020 ha solo fatto precipitare ulteriormente le cose.
Il tasso di occupazione femminile tra dicembre 2019 e dicembre 2020 è passato dal 50% all’48,6%, a fronte di una modesta contrazione per gli uomini, un risultato molto magro se messo a confronto con il dato medio per l’Ue27, pari al 63%, e con l’obiettivo della Strategia di Lisbona, pari al 60%, che si sarebbe dovuto raggiungere entro il 2010.
In questo particolare momento storico proprio il lavoro ha subito e subirà grandi cambiamenti, in termini di occupazione, di competenze richieste, di modalità: lo smart working forzato, che non è esattamente come dovrebbe essere, ne è solo un esempio.
La condivisione dello spazio domestico con altre persone che lavorano o studiano può essere complicato: la presenza di bambini piccoli può essere assillante e assorbire il nostro tempo e la commistione di spazi privati e spazi lavorativi può pericolosamente annullare quella sana distanza che invece deve rimanere tra lavoro e vita personale. Sta emergendo in modo chiaro che questo lavoro agile costretto ha ripercussioni pesantissime soprattutto sulle donne, ricacciate con forza nell’ambiente domestico, con ancora alle spalle la quasi totalità del lavoro di cura e prospettive incerte di ritorno ad una vita normale nei prossimi mesi.
È tornato al centro il lavoro di cura, fondamentale nella nostra società, di nuovo pesantemente sulle spalle delle donne, rischiando di spingerle ad uscire dal mercato del lavoro proprio ora che la società ha bisogno del loro contributo prezioso per costruire un futuro migliore e diverso.
In uno scenario di profondo cambiamento bisogna evitare che le disuguaglianze si amplifichino.
La via maestra per aumentare l’occupazione femminile è un massiccio investimento nelle infrastrutture sociali: asili nido, servizi sanitari territoriali, strutture per l’assistenza di anziani, disabili, soggetti bisognosi, voucher universali per la cura, attività e servizi di contrasto alla violenza contro le donne (compresi centri antiviolenza e case rifugio). Sono almeno 5 i miliardi necessari per l’assistenza ad anziani e disabili, mentre i fondi per l’imprenditoria femminile andrebbero almeno triplicati, rispetto a quelli stanziati fino ad oggi.
L’occupazione femminile deve crescere, siamo ultimi in Europa per occupazione delle giovani dai 25 ai 34 anni e penultimi per altre fasce di età; maternità e genitorialità devono assumere un valore sociale, potenziando i congedi di paternità e aumentando la copertura dei congedi parentali.
“La parità di genere – scrive il Ministro Orlando – rappresenta una priorità nell’azione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che sul fronte delle misure di reazione all’emergenza epidemiologica da COVID-19 è, con tutto il governo, impegnato a contrastare le ricadute che hanno colpito in modo particolare le condizioni di lavoro e di vita delle donne”
Per consentire scelte strategiche fondate è necessaria la valutazione ex-ante ed ex-post sull’impatto di genere delle diverse misure, se l’Italia ha avuto la quota più alta in assoluto dei fondi europei è anche perché ritenuta meritevole di aiuti “speciali”, date le numerose fragilità che presenta, una tra queste la disuguaglianza di genere.
La Coordinatrice delle Donne Democratiche dell’Adda Martesana
Osvalda Zanaboni